Le dimissioni del lavoratore devono essere rese esclusivamente in modalità telematiche

Le dimissioni del lavoratore devono essere rese esclusivamente in modalità telematiche

Premesso che il rapporto di lavoro dipendente può risolversi a seguito di licenziamento, di dimissioni oppure per accordo consensuale delle parti, il legislatore, per contrastare il fenomeno delle cosiddette “dimissioni in bianco”, molto diffuso in precedenza, nell’anno 2015, ha introdotto una norma, l’art. 26 del d.lgs. n. 151 del 2015, che prevede che il rapporto di lavoro subordinato può essere risolto per dimissioni o per accordo consensuale delle parti solamente previa adozione di specifiche modalità formali oppure presso le sedi assistite, a pena di inefficacia dell’atto.

Quindi, Il lavoratore che intende dimettersi dal lavoro deve seguire le nuove regole sulle dimissioni volontarie che sono cambiate dal 2016; la vecchia procedura delle dimissioni scritte su foglio e firmate con firma olografa non è più valida, se non in alcuni casi specifici, ed è stata sostituita dalla procedura on line (cioè, via internet o via web).

Tuttavia, risolto un problema se ne crea un altro. Mi riferisco, in particolare, al c.d. fenomeno dei licenziamenti indotti dagli stessi lavoratori dipendenti che, al fine di risultare percettori di NASPI (indennità di disoccupazione), costringono il proprio datore di lavoro a licenziarli. Ricordiamo che in caso di dimissioni volontarie o risoluzione consensuale il dipendente non avrebbe diritto alla NASPI.

Lo scenario tipico è: il dipendente non si presenta al lavoro, il datore di lavoro avvia il procedimento disciplinare (lettera di contestazione) cui non riceve giustificazioni e, trascorsi i tempi previsti dallo Statuto dei Lavoratori, procede con il licenziamento. Tale licenziamento indotto consente al dipendente di percepire la NASPI ma, di contro, prevede l’obbligo per il datore di lavoro “colpevole” di aver eseguito un licenziamento di dover pagare il c.d. ticket licenziamento, tecnicamente detto contributo NASPI, che ammonta ad euro 603,10 annuali (41% dell’importo massimo del trattamento di NASpI), per ogni anno di anzianità del lavoratore, per un massimo di tre anni con un importo massimo pari ad euro 1.809,30.

Al fine di contrastare questi comportamenti scorretti dei lavoratori, alcuni datori di lavoro hanno richiesto al (ex) dipendente il rimborso del ticket licenziamento (talvolta con sentenze favorevoli altre volte no) e in molti casi hanno considerato tale comportamento del lavoratore (prolungata assenza ingiustificata) come comportamento concludente per sostenere che in realtà il dipendente si fosse dimesso. Tale ultima scelta era anche avallata da diverse pronunce di Tribunali.

Orientamento che, però, è stato ribaltato dalla Corte di Cassazione con Ordinanza n. 27331/2023 che ha statuito che il rapporto di lavoro subordinato, a pena di inefficacia dell’atto, può essere risolto dalle parti per dimissioni o risoluzione consensuale solo previa adozione di specifiche modalità formali oppure presso le sedi assistite così come disposto dall’art. 26 Decreto legislativo 15172015.

Nella fattispecie esaminata dalla Cassazione il lavoratore aveva ricondotto la cessazione del rapporto di lavoro a un illegittimo licenziamento orale, mentre l’azienda affermava che era stato il lavoratore a dimettersi senza osservare l’obbligo della forma scritta.

La suprema Corte ha sancito che la cessazione del rapporto di lavoro, se posteriore all’entrata in vigore del D/lgs 151/2015, deve rispettare specifiche (e tassative) modalità per le dimissioni e per la risoluzione consensuale (cosiddetto principio tipicità delle forme), così come espressamente previsti dal su citato art. 26 D/lgs 151/2015.

Quest’ultimo prevede infatti, all’art. 1, che le dimissioni e le risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro siano effettuate a pena di inefficacia esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili sul sito internet del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (w.w.w.Lavoro.gov.it).

Inoltre, entro sette giorni dalla data di trasmissione del modulo (di dimissioni) il lavoratore ha la facoltà di revocare le dimissioni e la risoluzione consensuale con le medesime modalità previste per la loro presentazione.

La procedura delle dimissioni telematica si applica per tutti i rapporti di lavoro subordinato, fatta eccezione per le dimissioni rassegnate:

  • nelle sedi protette (art. 2113, c. 4, c.c.) o avanti alle commissioni di certificazione (art. 76 D.Lgs. 276/2003);
  • durante il periodo di prova (art. 2096 c.c.);
  • nel lavoro domestico;
  • da genitori lavoratori;
  • nel lavoro marittimo.

Sempre a norma dell’art. 26 del Decreto legislativo 151/2015 co.4, la trasmissione telematica dei moduli di dimissioni e risoluzione consensuale del rapporto (di lavoro) può avvenire anche per il tramite dei Patronati, delle Organizzazioni Sindacali, dei consulenti del lavoro nonché degli enti bilaterali e delle commissioni di Certificazione previste dagli artt. 2 e 76 del D/lgs 276/2003, ovvero dinnanzi agli organi abilitati alla Certificazione dei contratti di lavoro come pure commissioni di certificazione istituite presso:

  • Enti Bilaterali costituiti nell’ambito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale quando la commissione di Certificazione sia costituita nell’ambito di organismi Bilaterali a competenza nazionale;
  • Direzioni Provinciali del lavoro e le Provincie;
  • Università Pubbliche e Private comprese le Fondazioni universitarie registrate nello specifico Albo ed esclusivamente in relazione a rapporti di collaborazione con docenti di diritto del lavoro;
  • Direzione Generale della tutela delle condizioni di lavoro presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali esclusivamente nel caso in cui il Datore di lavoro abbia le proprie sedi in almeno due provincie;
  • Consigli Provinciali dei Consulenti del lavoro, esclusivamente per contratti instaurati nell’ambito territoriale di riferimento;

Il nuovo indirizzo sancito dalla Corte di Cassazione si pone quindi in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale precedente secondo il quale vigerebbe nel nostro ordinamento un principio di libertà di forma dell’atto in tema di recesso dal rapporto di lavoro del lavoratore sulla base delle previsioni contenute nell’ art. 2118 del Cod Civ. (concernente l’obbligo di preavviso in caso di recesso dal contatto a tempo indeterminato) il quale presuppone che l’onere della prova di un presunto licenziamento intimato oralmente, ovvero in violazione delle prescrizioni contenute nell’art 2 L. 604/66 così come sost. dall’1 comma 37 L. 92/2012, ricada sulla parte che veda leso il proprio diritto, ossia nel caso di specie il lavoratore.

In conclusione, secondo la Suprema Corte, se la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro è intervenuta a seguito dell’entrata in vigore del D/lgs 151/2015 vige il principio di tipicità delle forme in quanto tra le modalità indicate dall’art. 26 del su citato decreto non rientra la cosiddetta risoluzione per mutuo consenso manifestata attraverso fatti concludenti.

Palermo, Roma, 21 ottobre 2023

Avv. Dott. Angelo Pisciotta